L’irruzione del Corona virus nel nostro Paese ha avuto conseguenze sul tessuto sociale ed economico di cui ancora oggi abbiamo una visione solo parziale. I dati riportati dai media hanno fissato nella nostra mente uno scenario drammatico, in cui il numero dei deceduti e contagiati ci ha consegnati alla storia come uno dei paesi in cui la pandemia si è abbattuta più violentemente. Proprio i numeri sono stati lo strumento con cui abbiamo cercato di capire, persino di prevedere magari, qualcosa che non eravamo in grado di comprendere e verso cui non eravamo minimamente preparati.
I numeri, d’altro canto, ci hanno fornito anche un quadro positivo circa lo slancio solidale degli italiani. L’idea dell’italiano generoso è potuta uscire dall’angolo della retorica palesandosi nell’azione concreta: ad oggi si stima che le donazioni effettuate in favore degli ospedali e delle realtà coinvolte nella lotta alla Covid abbiano superato complessivamente il miliardo di euro in soli due mesi. E la solidarietà non si è esaurita nella sfera economica. Le tante iniziative di spesa solidale continuano ad aiutare chi si trova in condizioni difficili, mentre praticamente tutte le organizzazioni impegnate nella lotta alla povertà e attive anche durante l’epidemia hanno registrato un incremento nel numero dei volontari, soprattutto di giovane età. Ma l’Italia è stata anche destinataria di inaspettata solidarietà: a lungo ricorderemo i sanitari cubani e quelli albanesi pronti ad aiutare il nostro Paese nel momento della difficoltà.
Entrati in una nuova fase, ci avviamo ad una ripartenza con poche certezze. Non sappiamo se l’epidemia è davvero alle spalle, né quanto a lungo dovremo diffidare della prossimità con le persone. Sappiamo invece che il numero degli italiani in condizione di povertà è più che raddoppiato e che il sistema politico avrà molto lavoro da fare per mettere le cose a posto.
Sappiamo anche che il numero dei deceduti è uno tra i più alti al mondo, ma per questo aspettiamo ancora delle risposte. Sappiamo anche che gli italiani hanno dato prova di grande senso di responsabilità, secondo alcuni persino oltre le aspettative. Ci sono infine altre cose, dentro ognuno di noi, che sappiamo anche senza rendercene conto. E che resteranno cicatrizzate nella nostra memoria. Abbiamo scoperto cosa voglia dire vivere in uno stato di precarietà diffuso, in cui non si può dare per scontato nulla. L’ospedale che ti cura quando sei malato, i famigliari che possono starti vicino se sei in difficoltà o – viceversa – la possibilità di stare vicino ai propri cari quando sono loro ad averne bisogno. Abbiamo imparato l’importanza di uno stato sociale in grado di farsi carico dei più deboli, di sostenerli anche economicamente.
Più in generale, abbiamo provato cosa significhi vivere in una condizione di privazione delle proprie libertà individuali più elementari: incontrarsi, svolgere un lavoro, andare a scuola e persino praticare il proprio credo o celebrare un funerale. Tutti ci siamo sentiti fragili, almeno un giorno. E questa è la consapevolezza da maturare per ripartire.
Adesso che i telegiornali e il web hanno preso a raccontare la ripartenza, riconducendola nel più confortevole recinto di dati e statistiche economiche, possiamo guardare al mondo con uno sguardo nuovo. Possiamo capire quanto prezioso sia ciò che diamo per scontato e comprendere meglio tutti quei popoli che non per due mesi, ma per tempi ben più lunghi sono privati dei diritti più elementari: libertà, salute, condizioni di vita dignitose. La Covid ha colpito tutto il mondo e in alcuni paesi la sua diffusione è stata più silenziosa, sebbene non meno drammatica. La raccontiamo in questo numero, con l’idea che questi giorni di distanziamento sociale ci trovano tutti un po’ più vicini.